martedì 21 ottobre 2014

Attingere al linguaggio degli altri strumenti

In questo breve video voglio dimostrarvi come a volte risulta molto utile attingere ai linguaggi e alle frasi tipici di altri strumenti per ampliare il vocabolario del chitarrista, rockabilly - rock and roll nel mio caso. Per ampliare il mio fraseggio ho "rubacchiato" frasi ai pianisti honky tonk, ai suonatori di lapsteel guitar, a quelli di banjo o ai sassofonisti. Il mio è solo un punto di partenza che deve servire da stimo a creare delle "novità" in un modo di suonare abbastanza datato. Buon divertimento e non dimenticate di visitare il mio blog dondiego75.blogspot.it per altre lezioni, articoli o interviste!


lunedì 7 aprile 2014

Dischi di rockabilly "guitar oriented" - step 2 - Brian Setzer's 68 Comeback Special "Ignition"


Benvenuti al secondo appuntamento dedicato di dischi "da avere" se volete essere inondati da note e frasi rockabilly. Questo disco, uscito nel 2001, segna il ritorno al trio per il famosissimo chitarrista di Long Island NY.
Infatti mr Setzer, dopo svariati anni insieme agli ultra-famosi Stray Cats, decide di cambiare rotta e, dopo qualche disco solista, a dire il vero poco convincenti, forma la Brian Setzer Orchestra: 22 elementi, tra classico combo e fiati, che suonano un mix unico di swing (neo-swing lo chiamava qualcuno…) e rock and roll, con chiare tinte rockabilly. Questa formazione ha dato veramente tanto a Brian Setzer, ma il primo amore, il trio, non si scorda mai!!! E, infatti, dopo diverse pubblicazioni con la BSO, il biondo chitarrista registra, insieme alla sezione ritmica dell'orchestra (Mark Winchester al contrabbasso e Bernie Dreisel alla batteria), un disco diretto come un pugno in faccia, suonato magistralmente, energico e carico come nessuna altra sua pubblicazione precedente. Chitarristicamente la lunga esperienza in orchestra, quindi soluzioni armoniche sempre nuove, sostituzioni, ritmiche sempre elaborate, si sente tutta in questo "Ignition": infatti i brani, pur essendo delle "hot rod tracks", sono ricchi di tutti i trucchetti imparati da Brian insieme alla formazione ultra allargata. Ma c'è anche un richiamo all'esperienza degli Stray Cats, con sfuriate nel rockabilly veloce e saltellante della formazione che gli ha permesso la fama, e qualche richiamo "punk" (una traccia, tra l'altro, è scritta insieme al compianto Joe Strummer, sto parlando di "Who Would Love This Car But Me"). 
Perchè annovero questo disco tra i miei preferiti tra i "guitar oriented" cd di rockabilly? Semplice! Perchè in questo disco, a mio parere, Setzer supera se stesso! 


Ogni brano è un vocabolario di ritmiche e soluzioni solistiche uniche! Dal pezzo di partenza (Ignition), dove il riff resta in testa per ore, alle parti di chitarra baritono sul secondo pezzo (5 Years, 4 Months, 3 Days), alle cavalcate  surf-country sulla splendida "Hell Bent" (brano con un richiamo minore senza pari). E poi ci sono le splendide "Hot Rod Girl", dove, su uno shuffle intenso, Setzer swinga richiamando il miglior Cliff Gallup; segue quindi la superba "8 Track", dove, su una ritmica country esasperata, Brian costruisce un giro di accordi che la dice tutta sulla sua formazione jazzistica, e, da buon chitarrista rockabilly, la suona prima in fingerpicking (richiamando il sommo Chet Atkins) e poi incrociando gli arpeggi relativi agli accordi! Ma anche i pezzi "minori" (nel senso dei pezzi "meno radiofonici") sono comunque conditi da parti pregevoli (per esempio la semplice "Rooster Rock" è la scusa per giocare con gli accordi e le frasi veloci che lo hanno sempre contraddistinto). A chiudere il disco la spettacolare "Malaguena" (per altro usata dal regista Robert Rodriguez in uno dei suoi recenti film), dove Brian stravolge in canovaccio originale in favore di un solismo sempre esplosivo ma mai invadente.
Altro tratto distintivo di questo disco è il suono: tutto è perfetto!
La 6120 del '59 di Setzer, insieme alle sue signature "Hot Rod", grida come non mai! Il suono dei suoi bassman c'è tutto! Il suo echo a nastro della Roland dà il meglio di se (sul pezzo HellBent ne usa due simultaneamente per ottenere quel suono che solo un verbo onomatopeico può descrivere: SBRANG!!!), con delle ribattute e una saturazione naturale che non ha pari!
Ma non è la sola chitarra di Brian a lasciare a bocca aperta: la batteria suona forte e carica, ma naturale come se l'avessimo di fronte a noi, e il contrabbasso di Mark Winchester (uno dei miei preferiti, per classe e tecnica) non è da meno: le note sono sempre definite e lo slap è naturale e piacevolissimo, a momenti sembra una percussione di natura "spagnola" (a me ricorda il suono delle nacchere….).


Per non parlare poi della favolosa produzione, semplice ma azzeccata! L'uso degli effetti è discreto e magistrale, così come quello che sentite sulla voce di Setzer.
Il mastering finale è da paura….sto disco suona ultra bene ovunque lo mettiate!!!
Io ho fatto un piccolo esperimento: ho estrapolato la traccia wave della title track e ne ho analizzato la forma d'onda: satura all'inverosimile, ma mostruosamente definita!!! Posso tranquillamente dire che si tratta di un must anche su questo fronte di lavoro!!!
Se non l'avete ancora comprato, vi consiglio l'acquisto dell'edizione giapponese, che contiene tre bonus track registrate dal vivo durante il tour del 2000 in Giappone della Brian Setzer Orchestra, quando, per la prima volta dopo anni di "formazione allargata", il nostro eroe decise di dedicare un breve spazio dello show alla formazione "trio"….forse lì uscì il desiderio di tornare a registrare come ha fatto per anni!!! Di queste tre tracce bonus godetevi la splendida "Mistery Train" eseguita su una chitarra baritono (accordata due toni sotto l'originale) costruita per lui da Tv Jones (lo stesso che gli fa i pick up e i set up degli strumenti).
Una piccola curiosità: il nome della band "68 Comeback Special" non ha niente a che fare con il "mood" del ritorno alle scene di Elvis del '68….semplicemente la moglie di Setzer, vedendolo uscire per lo shooting fotografico del disco tutto vestito di pelle nera, disse "molto 68 Comeback Special"….e da lì il nome al trio!!!
Vi lascio con un paio di esibizioni dal vivo in presentazione del disco…suono perfetto! Esecuzione perfetta! Macchine dietro gli strumenti? Che ve lo dico a fare….perfetti!!! 






giovedì 13 marzo 2014

Dischi di rockabilly "guitar oriented" - step 1 - Robert Gordon&Danny Gatton, The Humbler


Con questo articolo voglio inaugurare una piccola "saga" contenente quei dischi di musica rockabilly con un insano uso della chitarra. Spesso e volentieri una delle domande principali che mi vengono rivolte durante le clinic o a fine dei concerti è "mi consigli qualcosa da ascoltare?", così inizio a sciorinare nomi, etichette ed artisti, spesso incurante dello sguardo basito del mio interlocutore! 
Per questo motivo ho deciso di mettere nero su bianco, selezionando e raccontando, i miei dischi preferiti; in realtà si tratta di "alcuni" dei miei dischi preferiti, ossia quelli che mi hanno fatto sbattere la testa e consumare i polpastrelli al fine di tirar giù frasi, licks, ritmiche, soluzioni geniali da applicare poi nei miei spettacoli.
Probabilmente molti cultori del genere non apprezzeranno questi dischi per il valore evocativo o storico; sicuramente non saranno dischi che sentirete passare da un dj durante una serata di stampo fifties (tutti questi assoli difficilmente trascineranno le folle in pista!); ma, ribadisco, si tratta di album dove la chitarra è in primissimo piano e, per noi malati delle sei corde, sono delle vere e proprie bibbie da avere-ascoltare-conoscere. 
Da molto tempo il mio approccio allo studio è letteralmente cambiato, facendo tesoro delle parole espresse durante un seminario che feci tanti anni or sono insieme al mostro della chitarra americana Scott Henderson; il chitarrista losangelino spiegò il suo metodo di studio in poche parole quella volta, e io l'ho fatto mio da molto tempo! In pratica metto su un disco, lo ascolto con la chitarra in mano, mi fermo appena sento una frase che mi incuriosisce, la tiro giù esattamente come la sento (cercandone di imitare suono e timing), la suono e mi ci esercito usandola all'interno di una mia improvvisazione (spesso mi aiuto con delle basi, anche di sola chitarra, fatte da me); quindi inizio ad analizzarla, cercando di capire "dove" il chitarrista a cui l'ho rubata la colloca all'interno della struttura (apertura di un solo? chiusura? momento di tensione? momento di relax? turnaround? cambio di accordo? legatura con un altro chorus di solo? ecc ecc ec…), provo a spostarla per trovarne altri utilizzi e, sopratutto, provo a suonarla in altre tonalità e in altri registri. Così facendo, pessimisticamente, un paio di volte a settimana (adesso ho veramente poco tempo per dedicarmi allo studio, tra concerti, spostamenti e due bimbi!!!) riesco ad arricchire il mio bagaglio di otto frasi nuove al mese (frasi solistiche e soluzioni ritmiche!!! Non limitatevi solamente al lato solistico!!!), quasi cento frasi all'anno!!! E sono un'enormità credetemi!!! Io me le trascrivo, anche solo in tablatura, riferendomi al disco e al brano (e a volte al minuto esatto) di riferimento, di modo da non perderle!!! Credetemi è una soluzione di studio senza pari che vi permette di creare un vocabolario ampio e sempre utile da spulciare!!! 
Ma, per attuare questo tipo di studio, è fondamentale la materia prima: i dischi da cui attingere!!! Per questo in questa rubrica ho selezionato i miei preferiti, ricchi di frasi sfiziose, al fine di aiutarvi nella ricerca degli stimoli!!!
Inizio parlando di un disco veramente emblematico, ossia il bootleg di un'esibizione live del bravissimo cantante newyorkese Robert Gordon insieme all'asso della chitarra di Washington, mr Danny Gatton, The Humbler (che era il soprannome del chitarrista, l'umiliatore, per la facilità con cui stendeva il pubblico in sala, e anche il titolo di questo disco). Questa pubblicazione girò per anni sotto forma di cassetta pirata tra i chitarristi, fino, poi ad essere pubblicata (in pochissime copie per altro) su cd! Lo confesso, è uno dei miei dischi preferiti ma non ce l'ho in originale! Sono stato dietro ad innumerevoli aste online per comprarne una copia decente!!! Ma niente!!! Spero vivamente di venirne in possesso quanto prima!!! 
La registrazione non è proprio eccellente, ma la grinta e la carica di quell'esibizione ci sono tutte! Il suono della chitarra di Danny Gatton esce dalle casse come una spada ben affilata! In ogni pezzo ci sono almeno una decina di soluzioni interessanti e affascinanti; Danny sfodera tutti i suoi assi in questo disco: legato runs, citazioni famose, frasi con note di pedale ossessive, open strings licks, cromatismi a go-go, banjo rolls, fast swing licks, hybrid picking, ecc ecc ecc…per non dire poi come diventa interessante quando imita la lap steel (su "There Stands The Glass") o la ritmica di un Hammond (su "The Way I Walk"). 
Ascoltate attentamente come dosa delay e reverberi su tutti i pezzi ("There Stands The Glass" e "Loverboy"). 
Ascoltate come ogni ritmica diventa la scusa per ampliare gli accordi di base e giocare con il ritmo e le ribattute dell'echo ("You Got A Heart Like A Rock"). 
Ascoltate come, anche la frase più intricata e veloce, possa essere cantata (il solo di "Black Slacks" dal minuto 00,31 in poi). 
Ascoltate come interagisce alla perfezione con l'altro chitarrista (credo fosse Chris Speeding), senza mai coprirlo o oscurarlo: i due non si ritrovano MAI sulla stessa porzione di manico!!! Annullandosi a vicenda quindi….(sopratutto su "Tha Way I Walk").
Ascoltate cosa combina sulla traccia "Cruisin", mischiando frasi alla Les Paul con trucchetti dal suo repertorio.
Insomma ascoltate questo disco mille volte….e, sono certo, che alla mille e una volta scoprirete una frase assurdamente bella che non avevate notato prima!!!
Vi lascio con un video che c'entra ben poco con il disco di cui ho parlato, ma dove il SOMMO Danny Gatton rende omaggio alla SUN Records con un medley esplosivo..



lunedì 10 marzo 2014

Grady Martin, il session man meno celebrato della storia della chitarra rockabilly



Chiunque abbia ascoltato almeno una volta le tracce più selvagge di Johnny Burnette sicuramente sarà rimasto folgorato dalle frasi e dai riff del suo chitarrista. Rumorose ma al contempo eleganti, virtuose ma grezze e dirette come un pugno in faccia, capaci di passare dal minimalismo essenziale al complesso e virtuoso nell'arco di pochi secondi. 
Confesso che per tanti anni sono stato convinto che dietro a quei capolavori ci fosse un certo Paul Burlison, però, qualche anno fa, comprando una compilation intitolata "Roughneck Blues 1946-1956" a nome di uno (per me allora...) sconosciuto "Grady Martin", ho scoperto che il signore in questione è stato uno dei session man più richiesti nella Nashville degli anni d'oro! 



"Roughneck Blues - 1949/56" un disco da AVERE!!! Da se rappresenta la GUIDA ALL'ASCOLTO per la scoperta e lo studio di questo grande artista!!!

Ed è lui ad impreziosire i brani di Burnette che mi hanno letteralmente cambiato la vita! Ma, il bello, è che mr Martin è anche la chitarra dietro alle cose più belle di Johnny Horton (Comin' Home, oppure One Woman Man...) o Buddy Holly (Rock around with Ollie Vee), ed è anche l'autore del riff della ultrafamosa "Pretty Woman" di Roy Orbison; la sua carriera è letteralmente sconfinata: praticamente onnipresente negli studi di Nashville, facendo parte del famigerato "A-Team", insieme al contrabbassista Bob Moore e al batterista Buddy Harman, è nei dischi di Elvis, di Bob Dylan, ma anche di super star della country music come Patsy Cline, e, ovviamente, nelle registrazioni che hanno fatto la storia del rockabilly (Don Woody per citarne uno....). 


Il mitico A-Team Trio, con, da sinistra a destra, Bob Moore, Grady Martin e Buddy Harmon

A sinistra Grady Martin, a destra Bob Moore, in un raro scatto "casalingo" pochi anni prima della dipartita di Grady.

Mi è sembrato assurdo come un nome con un curriculum così nutrito fosse rimasto per tutta la sua carriera nell'ombra di personaggi, bravissimi, ma osannati (tipo Chet Atkins o Hank Garland, al quale è stato pure dedicato un film); forse il motivo risiede nel carattere schivo e riservato del personaggio in questione; forse nel fatto che, da professionista e session man navigato, sapeva benissimo che il suo lavoro, seppur pregevole, era sempre e comunque a servizio del cantante di turno. Eppure noi tutti che imbracciamo una chitarra elettrica dobbiamo dire grazie proprio a lui! Perchè? Beh! Semplice! E' lui che ha registrato per la prima volta una chitarra "distorta", ossia quel suono graffiante che esce dal mio strumento preferito che, è giusto ricordarlo, fino ad allora doveva essere PULITO e CRISTALLINO! Il mito, la leggenda, si perde e si mischia con la verità; negli anni ne ho sentite e lette di tutti i colori sulla motivazione e sulla nascita di questo suono a cui adesso il 99% dei chitarristi non rinuncerebbe per nessun motivo. Si narra che, entrando in studio con l'amplificatore in una mano e la chitarra nell'altra, sia inciampato, rovinandolo, ma, una volta entrato in sala sia rimasto colpito da quel "rumore" che ne veniva fuori; si dice anche che non ci fosse soluzione alternativa e quindi fu letteralmente costretto a registrare a quella maniera; si racconta anche che quel famigerato amplificatore, una volta caduto, non funzionasse più e Grady Martin fosse costretto a collegare la sua chitarra direttamente nel banco di sala, generando quel suono "distorto" per una semplice differenza di impedenze. Quale sia la verità non lo sapremo mai probabilmente, però è certo che quella "Don't You Worry" con quel suono "fuzz" rimane il punto di partenza da cui milioni di registrazioni ed esibizioni sono partite e tuttora campeggiano orgogliose ovunque ci si giri! Ho passato ore e ore a provare a replicare le sue frasi, la sua attitudine e il suo suono, e, ad oggi, non mi pento nemmeno di uno degli infiniti minuti passati dietro quelle note. Il motivo è semplice: questa musica è fatta di poco ma buono! E Grady Martin sembrava capirlo in maniera totalmente assoluta, e ha proprio fatto scuola con questo approccio di classe. Resta un mistero però come mai su tutti i dischi ufficiali di Johnny Burnette venisse sempre citato il bravissimo, ma in realtà poco presente in sala, Paul Burlison e non il grande session man in questione. Pure sulle copertine (che, ad un tempo, senza internet e la famigerata opzione "immagini" su Google, costituivano la bibbia per dare un volto ad un gruppo o ad un artista) spunta sempre Paul Burlison e mai Grady Martin. Probabilmente il produttore, un tale Owen Bradley, pur riconoscendo le potenziali del Rock and Roll trio del fratello di Johnny Burnette (Dorsey) insieme a Paul Burlison, preferisse andare sul sicuro affidando l'esecuzione in studio a dei professionisti navigati (l'A-Team trio per intenderci). Generando in me questa smania da "nerd" delle sei corde per scovare la verità!


La mitica Bigsby Double Neck costruita apposta per Grady Martin nel 1952.

Parlando di suono e strumentazione il leader dell'A-Team si è sicuramente distinto per l'utilizzo degli strumenti costruiti da quel genio dello strumento che risponde al nome di Paul Bigsby. Due i modelli con i quali lo si vede immortalato nelle rare foto dell'epoca: la manico singolo (e due pick up nella foto che vedete in testa all'articolo) e la doppio manico e tre pick up nell'immagine sopra. Strumenti molto rari, costruiti con incredibile cura dei particolari, perfetti, a detta dei loro utilizzatori, sotto il punto di vista liuteristico e sonoro. Con un suono particolare, capace di passare dal pulito e setoso al distorto e "muddy". 
Nonostante la maggior parte delle immagini lo ritraggono con questi strumenti, l'arsenale del famoso session man era ricco di altri pezzi (suonava e usava sovente chitarre acustiche, resofoniche, archtop, lo si vede con una Gibson 347, classiche, contrabbasso, banjo….insomma tutto quello che concerne le corde!!!).



Nelle due foto sopra eccolo imbracciare delle Gibson…es qualcosa...

Eccolo imbracciare un contrabbasso insieme all'altro asso della musica americana: Hank "Sugarfoot" Garland

Sugli amplificatori usati da Grady Martin si apre un dibattito enorme. In alcuni scatti (roba promozionale si intenda) lo si vede imbracciare la sua fedele doppio manico Bigsby dietro un Magnatone (rarissimo amplificatore americano), mentre in studio si dice suonasse quasi sempre uno Standel 25L15 (con un cono da 15 pollici, aperto sul di dietro), un ampli storico per la musica rockabilly (è lo stesso usato da Cliff Gallup nelle mitiche session con Gene Vincent). Owen Bradley (il produttore di molte di queste sessione e proprietario del Quonset Hut) possedeva un Fender Tweed Pro (sempre con un cono da 15 pollici, il cui suono, a basso volume, ricorda molto quello ben definito dello Standel) e Bob Moore (il contrabbassista dell'A-Team) racconta che Grady fosse solito usare quello che trovava in studio, quasi "annoiato" dal dover portare la sua roba in sala.



Nell'immagine sopra lo Standel usato da Grady Martin e, probabilmente, da Cliff Gallup per le session del Luglio del 1956 a Nashville TN (session dalle quali sono stati partoriti i migliori pezzi della produzione di Johnny Burnette).

Una cosa che mi fa veramente sorridere è quel celato cinismo che si può ascoltare in alcune esecuzioni di Grady Martin. Mi spiego meglio: prendiamo tre brani molto famosi, "Baby Blue Eyes" e "Sweet Love On My Mind" di Burnette, insieme a "Bird Dog" di Don Woody, ascoltiamone bene gli inizi (sopratutto le frasi di intro della chitarra), ecco, praticamente le stesse identiche note su tutte e tre le canzoni! Perchè? L'unica risposta che ho saputo ipotizzare sta nel fatto che questi session man registrassero così tanto da non credere quasi nelle potenzialità delle canzoni che stavano interpretando, quindi sfruttavano frasi e riff nella speranza che il successo prima o poi baciasse una di queste tracce (Danny Cedrone, chitarrista di Bill Haley and The Comets, fece la stessa cosa riciclando il famoso assolo di "Rock This Joint" sulla celebre "Rock Around The Clock"....quasi come a dire "cavolo è un peccato che quelle belle idee vadano perdute su un pezzo sfigato...quindi ci riprovo nella speranza che nessuno se ne accorga!"). Mi piace anche ricordare, come racconta Sonny Curtis, braccio destro di Buddy Holly nel periodo Crickets, come Buddy Holly fu quasi costretto a ricorrere all'A-Team per registrare alcune canzoni che non ebbero successo nella loro prima registrazione, forse a causa dell'esecuzione acerba dei componenti della band dell'occhialuto texano. Sonny Curtis stesso ammette che la registrazione di "Rock Around With Ollie Vee" (registrata per la Decca dall'A-Team insieme a quell'asso del sassofono che risponde al nome di E.R. "Dutch" Mc Millin) è nettamente superiore a quella registrata qualche tempo prima dai Crickets, con lo stesso Curtis alla chitarra solista (da chitarrista vi assicuro che ammettere che la versione di un pezzo proprio eseguito da un altro "concorrente" sia superiore, equivale a scalare l'Everest a mani nude!). Eppure si rimane basiti davanti all'evidenza di un chitarrismo sempre perfetto e incisivo! Nel 1978, quando la sua attività in studio si ridusse drasticamente (i tempi dove la classe di un signore di mezza età che in studio di registrazione dava tanto con poco, probabilmente, stavano scomparendo) Grady Martin ritorna (a quasi 50 anni) a cavalcare la strada, andando in tour con Jerry Reed, prima, e Willie Nelson poi (ne produce addirittura l'album "Just One Love" del 1995, album dalle forti tinte honky tonk). Compare addirittura nel film del signore con le trecce, quell'Honeysuckle Rose del 1980 che non sono mai riuscito a vedere!!! Purtroppo la salute non lo aiuta, facendolo soffrire tantissimo dal 1994, quando iniziano i primi acciacchi, fino alla morte, il 3 dicembre del 2001, a causa di un infarto. Però Nashville (e tutti i suoi "figli" più celebri, come Chet Atkins, Marty Stuart, Vince Gil...) gli rende sempre onore negli anni, introducendolo nella Rockabilly Hall Of Fame e nella Musicians Hall Of Fame; un atto dovuto per un personaggio che ha tracciato una linea guida in questa musica (se razionalizzata o meno non lo sapremo mai!) e ha dettato legge su come un chitarrista debba affrontare un brano rockabilly! Lunga vita a questo "esimio" sconosciuto!!!



La tomba del grande musicista.



martedì 25 febbraio 2014

RIP Franny Beecher

Il SOMMO Franny Beecherci ha lasciato questa notte per sempre! 
Adesso è nel paradiso del rock and roll insieme ai suoi compagni di squadra Bill Haley, Marshall Lytle e il resto dei Comets che non ci sono più!!! 

Sono certo che starà suonando il solo di "Rock around The Clock" all'unisono con Danny Cedrone (lo ha omaggiato per 50 anni….adesso si incontrano!!! WoW).




Ricordo esattamente l'emozione quando lo vidi dieci anni fa sul palco del Summer Jamboree a Senigallia….ci lasciò sconvolti per l'incredibile professionalità e scioltezza (è morto che aveva 92 anni….) ma sopratutto ricordo lo stupore insieme ad Umberto Porcaro quando lo vedemmo salire sul palco, attaccando una orrenda Gibson da "fusionaro" in un orrendo Gallien&Kruger a transistor!!! Le parole di Umberto furono "se co sta merda ha un suono della madonna e vintage ci resto malissimo!!!"…..quella sera io e Umberto capimmo l'importanza delle MANI nel setup di un chitarrista!!!
Franky (come in molti lo chiamavano) se ne va….ma ci lascia un patrimonio di frasi, soluzioni ritmiche, idee originali, che dureranno per sempre!!! Mi prometto di fare un video dove condenso i caratteri del suo stile!!! Devo solo trovare il tempo e la giusta "forza" per farlo….e non è facile (specie per il secondo aspetto!!!!)

Frannny era un grande e complesso musicista, ha iniziato la sua carriera da professionista alla corte di Benny Goodman, per poi entrare nei Comets di Bill Haley per sostituire Danny Cedrone (il chitarrista storico di Bill Haley, quello che registrò il solo della celebre "Rock around the Clock", ma che morì, cadendo dalle scale di casa sua, prima ancora che il pezzo diventasse una hit, entrando a far parte della colonna sonora del film "Il seme della follia", dove Franny fù quasi "costretto" a recitare e a impersonare lo sfortunato predecessore).
Si narra che Bill Haley gli dicesse di suonare "meno jazzy", così mr Beecher si inventò uno stile tutto suo, dove un chitarrismo "educato" ogni tanto esplodeva in "sfuriate" complesse, fatte di frasi veloci e complicate, di beboppiana memoria.
Il suo strumento principale, al tempo dei Comets, era una Gibson Les Paul Black Beauty con due p90 (che lui sostituì più avanti nella sua carriera), strumento donato a Franny dalla casa madre (sapevano benissimo che quell'ometto avrebbe girato il mondo e fatto la storia!!!), ma i suoi preferiti erano i chitarroni da jazz, e, ai tempi di Benny Goodman, imbracciava una Epiphone a cassa enorme!!!



Negli anni usò tanti altri strumenti (come la orribile, per me si intenda, es137 della Gibson con la quale lo vidi a Senigallia, in questo scatto sotto fatto da me….), ma il suo suono era sempre lo stesso: raffinato, grintoso, di classe, con carattere e personale!!!


Mi godo la sua GOOFIN' AROUND (secondo me il più bel pezzo strumentale di rockabilly di sempre!!! Brano che lui compose e che suono dal 2001 quasi ogni sera….)!!! RIP MAESTRO!!!!



mercoledì 5 febbraio 2014

Corde lisce su una Telecaster…..esperimento "ol' school" con pochi soldi!!!


Quello di oggi non è un "tutorial" bensì il risultato sonoro di un esperimento fatto con pochi spiccioli. Mi è sempre piaciuto il suono delle corde basse nelle registrazioni degli anni '50, carico di twang e attacco (perchè proveniente da pickup single coil) ma anche "leggermente" ovattato (perchè le uniche corde disponibili erano quelle "flat wound", ossia lisce). Ma mi sono sempre rifiutato di montarle perchè avevo paura che fossero troppo a senso unico, ossia dedicate solo ad un limitato genere musicale, quindi non pensavo che sarei riuscito ad ottenere quella dose abbondante di "SBRANG" che necessito quando suono con gli Adels (la mia band, con la quale suono rockabilly ad alto voltaggio....). Però, qualche mese fa, dopo aver visto la strepitosa band "Izzy and the Catastrophics", ho passato una mezz'oretta con il chitarrista (Izzy Zaidman)  chiacchierando, ovviamente, anche di chitarre! Lui usa una vecchia strato sulla quale ha montato delle corde lisce. Ebbene il risultato sonoro era fantastico! Lui ci picchiava come un ossesso ottenendo la giusta dose di carica e drive, e, mentre le accarezzava, il suono "alla vecchia" usciva fuori in maniera assolutamente naturale! Non potevo non fare questo esperimento...e quello che sentite nel video è il risultato!!!
Per altri video e articoli visitate il mio blog
Diego


giovedì 23 gennaio 2014

Sean Mencher - la chitarra dietro al suono degli High Noon


Questa volta ho il grande onore di intervistare quello che secondo me è una vera grande star della musica rockabilly mondiale: mr Sean Mencher. Sicuramente il suo nome, all'inizio, non dirà quasi niente ai più, ma, se ci addentriamo nel panorama della musica rockabilly, i nomi "High Noon" e "Ronnie Dawson Band" faranno alzare le orecchie ai chitarristi più curiosi! Ebbene si, lui è stato il chitarrista del fantastico, esplosivo, virtuoso trio "drumless" texano (gli High Noon) e anche il chitarrista del "blonde bomber" Ronnie Dawson. Già solo queste due esperienze basterebbero a classificarlo come un nome storico di questo panorama, ma lui ha continuato a lavorare con una miriade di artisti, come chitarrista di Willie Lewis per esempio, o come produttore per band del calibro dei "Two Timin' Three" oppure per Jessie Lee Miller. Dotato di una grande tecnica (che ruba a piene mani da Chet Atkins e Merle Travis) e di un grande gusto, che gli permette di passare abilmente dal classico e autentico rockabilly, al jump blues, allo swing, al country tradizionale, passando per western swing e rock and roll granitico, è sicuramente un'autorità mondiale quando si parla di tecnica (e lui ne ha veramente tanta…). Come spesso mi capita quando voglio intervistare qualcuno, mi è bastata una email per ricevere una pronta e disponibile risposta! Non mi stancherò mai di dire che i migliori artisti sul palco sono delle persone splendide anche sotto al palco!!! E Sean ne è l'ennesima conferma! Quindi godetevi le sue parole….magari mentre ascoltate il suo lavoro sull'ultimo disco della Bear Records dove il nostro intervistato accompagna il SOMMO Ronnie Dawson nel tour che lo portò ad esibirsi addirittura alla CARNEGIE HALL a New York!!!


Diego: Ciao Sean, grazie per il tempo che mi stai dedicando, per iniziare puoi parlarmi di come è iniziata la tua carriera musicale?
Sean: Ciao! Ho iniziato a suonare quando ero un adolescente a Washington DC. Ero fortemente influenzato da grandiosi musicisti locali come Tex Rubinowitz and the Bad Boys, Danny Gatton, The Nighthawwks e tanti altri!

Diego: Dimmi qualcosa degli High Noon e come mai avete deciso di suonare in trio senza batteria?
Sean: Noi, io con Shaun Young e Kevin Smith, abbiamo deciso di formare un combo senza la batteria perchè volevamo imitare il suono dei nostri dischi preferiti, Johnny Cash con Luther Perkins e Marshal Grant, oppure Elvis con Scotty e Bill, o ancora Buddy Holly su Blue Days, Black Night. Questo tipo di sonorità accentua lo slap del contrabbasso, il picking della chitarra elettrica e lo strumming della chitarra acustica, tutto con un fortissimo senso dello swing! Ci sono tantissime altre influenze nella mia musica, comunque, tutte cose ovvie che mi tornano in mente sempre.

the High Noon

Diego: Vi è mai mancata una batteria?
Sean: Qualora ne avessimo avuto bisogno (e ne hanno avuto, specie nei tour con R. Dawson, nda) sono fortunato di conoscere la Principessa del Ritmo, ossia Lisa Pankratz!

Diego: Sono un grande fan di Ronnie Dawson…quindi mi piacerebbe sapere qualcosa a proposito del Blonde Bomber (il nome d'arte di mr Dawson) dalla bocca di chi ci ha lavorato a stretto contatto!
Sean: Ronnie Dawson era un "rockin' gentleman", amico prima di tutto, mi manca ogni giorno! Mi sento sempre fortunato di essere riuscito ad incrociare la mia carriera con la sua e di essere riuscito a condividere il ROCK AND ROLL con lui. Se non l'avessi visto (ma io l'ho visto almeno cento volte…..nda) cerca la sua esibizione allo show di Conan O'Brien su YouTube, oppure il cd edito dalla Bear Records con gli estratti del nostro tour che ci portò fino alla Carnegie Hall (che ovviamente sto ascoltando mentre traduco questa intervista…nda). Queste due testimonianze riassumono tutto.


Diego: Cosa mi puoi dire dei tuoi chitarristi preferiti?
Sean: I miei chitarristi preferiti sono troppo numerosi per essere menzionati. Ad ogni modo Merle Travis è uno dei miei preferiti per tanti motivi! Ha scritto grandi canzoni, e ha scritto la strada per una tecnica chitarristica, il Travis Picking, chiamata così dopo il suo smodato uso e il suo sviluppo, ma ha anche disegnato la chitarra solid body insieme a Paul Bigsby. E' stato anche un attore in tv e al cinema…una eredità di tutto rispetto penso!

Diego: Come mai usi sempre il thumbpick? Anche per fare il picking alternato….non lo trovi scomodo?
Sean: Beh io non lo trovo così scomodo, anzi non so farne a meno! Se fossi stato il membro di una bluegrass band avrei certamente suonato il banjo e non il mandolino. Su tutto comunque adoro il suono del thumbpick!

Diego: Ti ho visto suonare un sacco di strumenti, archtop, solid body, acustiche…quale è la tua preferita? E perchè?
Sean: E' vero ne ho avute e suonate tante, e le ho amate tutte per motivi sempre differenti! Ad ogni modo ho due chitarre che sono le mie numero uno! La mia amata telecaster e la mia Martin 00-18V

Diego: Ho visto che la tua telecaster principale è passata dalle mani di quel genio chiamato TK Smith (nelle passate pagine del blog trovate pure un'intervista a questo artigiano-musicsta-liutaio e quant'altro), mi puoi descrivere che lavori ha fatto sulla tua telly?
Sean: L'obiettivo era renderla simile allo strumento usato proprio dal mio idolo, Merle Travis, ma con un vibrato bigsby…ed è quello che TK ha fatto alla perfezione! Quella chitarra è un sogno che diventa realtà!

Diego: Come mai un solo pick up e al ponte? Proprio per l'amore verso Merle Travis?
Sean: Il motivo è semplice, troppo spesso la punta del mio thumbpick sbatteva nel pick up frontale…che ho deciso così di togliere!
La telecaster modificata da TK Smith di Sean Mencher

Diego: Cosa mi puoi dire a proposito amplificatori ed effetti?
Sean: Tutto dipende dal tipo di spettacolo che devo fare…ma gli ampli valvolari sono i miei preferiti! Come effetti mi limito ad un delay, il reverbero dell'ampli e, qualche volta, un Nocturne, che è un pre-amp che boosta il sound.

Diego: Mi puoi parlare del tuo lavoro come produttore? Interagisci in studio con le bands-artisti che produci?
Sean: Grazie per avermelo chiesto! Amo questo aspetto del mio lavoro! Si! Ho lavorato con diverse band, supervisionando il loro lavoro in studio di registrazione. Io lo considero un onore e cerco di fare del mio meglio per ottenere il sound migliore! Ho prodotto finora 5 cd degli Starline Rhythm Boys, un eccellente rockin' trio! Sono stato anche fortunato a produrre il primo cd dei Gin Palace Jesters a Nashville! E' stato un bel colpo! E anche il disco di Jessie Miller, intitolato "Now you're gonne be loved" per la Goofin' Records. E c'è altro, come il disco di debutto degli Astonishing King Memphis, un grande combo di rock and roll. Riguardo il mio approccio in studio posso solo dire che ogni situazione è veramente differente dalla precedente, la cosa migliore è avere fiducia nelle proprie orecchie e nel proprio cuore, solo così si riesce a fare il meglio!

Diego: Cosa mi puoi dire invece dell'approccio in studio con gli High Noon? Devo essere sincero, amo il "mood" delle vostre registrazioni….avete sempre registrato dal vivo in studio vero?
Sean: Si è vero! E' tutto live in studio, tranne per qualche overdub come le urla su "Rockin' Wildcat". In generale comunque quasi tutto è sempre stato come suonare dal vivo, ma dentro uno studio di registrazione, mantenendo lo stesso spirito! Devo essere grato a Janne Haavisto, un produttore veramente brillante, ma anche un ottimo batterista e un caro amico!!! E anche grazie a Pete Hakonen, presidente della Goofin' Records, che ha sempre creduto in noi!!!

Diego: Ho letto le note di copertina del cd registrato alla Carnegie Hall con Ronnie Dawson, e ho letto che molte tracce sono state registrate usando SOLO una coppia di SM57….possibile???
Sean: La registrazione delle tracce al Fairmount Indiana, fatte da Greg Wolske, sono state veramente fatte con due SM57!!! Strano ma vero (ascoltatele e rimarrete strabiliati…credetemi!!! nda).

Diego: Cosa vuol dire per un musicista rockabilly calcare il palco della Carnegie Hall?
Sean: Ti assicuro che è stato uno dei momenti migliori della mia carriera e della mia vita! Sopratutto perchè è successo insieme a delle persone che stimo sul serio, come Ronnie Dawson, Shaun Young, Kevin Smith e la superlativa Lisa Pankratz! Mi sono sentito prode di rappresentare, in quell'istante, la chitarra rockabilly e la musica rockabilly in generale!!!



da sinistra a destra: Sean Mencher (el guitar), Shaun Young (ac guitar), Lisa Pankratz (drums), Ronnie Dawson (el guitar and voice) e Kevin Smith (double bass)

Diego: Quali sono i tuoi piani per l'immediato futuro? Dove è diretto il tuo lavoro adesso?
Sean: Come al solito un sacco di cose…nuove canzoni, tanta pratica, tante gigs…e, su tutto, sto mettendo insieme il "Sean Mencher's Rockin' Guitar Seminar", che sarà dall'una alle quattro del pomeriggio del prossimo New England Shake-Up, sabato 27 settembre nella Executive Room. Sarò il moderatore e il conduttore di una tre ore intensissima, dialogando e suonando insieme ad alcuni chitarristi eccezionali, come Ashley Kingman, Miss Amy Griffin, Tjarko Jeen e James Gaudette (tutti nomi da brivido….nda). Parleremo di tante cose riguardanti la chitarra rockabilly, condivideremo le nostre esperienze, i nostri trucchetti del mestiere, cercando di trasmettere "conoscenza"! Ci tengo veramente tanto a questo seminario!





Diego: Grazie Sean per queste perle di saggezza e per la tua disponibilità nei miei confronti!
Sean: Grazie a te Diego, e grazie a tutti i lettori! E' un onore e un piacere parlare di chitarra e della musica che amo!!! Salute e felicità a tutti voi amici!!!! Go-Cat-Go!!!!
Sean Mencher







lunedì 13 gennaio 2014

Cucinare una buona Telecaster-Step 3: i pick up


Penultimo appuntamento con le mie considerazioni su come assemblare-costruire-customizzare la propria Telecaster. Dopo aver parlaro di legni (manico, corpo, misure, finiture ecc ecc) è adesso il momento dei famigerati PICK UP!!! Il mercato ne è pieno zeppo! Ce ne sono di tutti i tipi e di tutte le forme, con tutte le caratteristiche possibili….avventurarsi nella selva di questa scelta è cosa ardua! Io mi limiterò a parlare dei pick up che negli anni ho usato e montato sui miei strumenti. 
Fender '52 replica
Fender Texas Special
Fender No-Caster
GFS Vintage Voiced
Bare Knuckle 55 Staggered
Joe Barden Danny Gatton Model

PS. Quando parlo di pick up mi riferisco al pick up al ponte! Perchè? Semplice! Perchè è quello che "strumentalizza" il suono di una tele…una volta scelto quello al ponte, per come mi piace, ne accoppio uno dalle caratteristiche, in termini di livello di uscita, simile al suo "compare", di modo che, quando uso i due pick up insieme, uno non predomini sull'altro stravolgendone il suono (quello dei pick up insieme, che AMO!!!).
Ma, prima di parlare dei pick up che io stesso ho usato e testato negli anni, è giusto fare una premessa: il pick up aiuta, ok, ma non stravolge uno strumento, che, se è buono, suonerà bene anche con un pick up dozzinale. Alla base dobbiamo avere uno strumento ben fatto e risonante!!! Da quel momento potremmo accentuare (o smorzare) certe caratteristiche dello strumento con un pick up specifico!!! Altra cosa a cui tengo tantissimo: un pick up (specie uno per telecaster….) non può costare alcune cifre inaudite che sento in giro! Materiali e lavorazione, credetemi, sono abbastanza semplici se, alla base, c'è gusto e competenza!
Quindi, da adesso, un piccolo paragrafo per ognuno dei pick up in questione….buona lettura!

Fender '52 Replica
E' stato il primo pick up che ho provato, e, onestamente, lo trovo piatto e senza carattere.
Pro: basso costo e reperibilità, suono eccessivamente standardizzato, per uno strumento "educato"
Contro: troppo anonimo e senza carattere

Fender Texas Special
L'ho usato per anni sulla mia tele costruita da Claudio Dini di Vintage Corner; il suono è frizzante e tagliente, con un buon livello di uscita, ma a volte sembra "impallare" il suono dell'ampli perdendo un poco di dinamica
Pro: basso costo, suono straricco di acuti (magari su chitarre in alder e tastiera in palissandro aiuta ad avere più twang…)
Contro: non si sposa con tutti gli ampli e con tutti gli overdrive, poca dinamica, distorto tende ad essere "zanzaroso"

Fender No-Caster, Custom Shop
Ottimo pick up! Con un suono fifties niente male, quindi potente, ricco degli estremi di banda, pompato….ricorda il suono di Roy Buchanan.
Pro: reperibilità e rivendibilità, suono grosso (per certi versi sembra un vecchio p90)
Contro: poco pulito e "scuro" (per quanto possa essere scuro un pick up da telecaster….)

GFS Vintage Voiced
Trovato per caso su uno strumento preso online, niente niente male! Ricorda il suono dei Lindy Fralin delle chitarre di un mio caro amico e famoso telecasterista country, che ricerca un suono squillante e pulitissimo….appena ho scoperto il RIDICOLO prezzo sul loro sito sono rimasto piacevolmente sconvolto (23 dollari!!!)
Pro: costo bassissimo, suono pulitissimo e squillante (se vi piace il new country lo trovo adattissimo)
Contro: poco grosso se si cerca un suono alla Danny Gatton o Bill Kirchen

Bare Knuckle '55 Staggered
Il mio pick up preferito! Suono grosso e ricco di twang, quando pulito è frizzante e carico di "sbrangggg"….quando aumento il drive (riducendo gli acuti dal controllo del tono) il suono si avvicina al mega saturo del reverendo Billy Gibbons, roba da suonare dello shred credetemi! Se, sul suono pulito, o leggermente crunchy, chiudo appena appena il tono e il volume, il suono si avvicina molto verosimilmente a quello di un p90. Un must da avere o da provare….
Pro: versatilità e suono corposo
Contro: prezzo, ci vogliono circa 150 euro per uno solo di questi pick up….e non sono pochi!!!

Joe Barden Danny Gatton Model
E' stato il pick up che ho tenuto per meno tempo sulla mia tele….troppo estremo…poco versatile! Sicuramente il suono che a me usciva era DIVERSISSIMO da quello di Danny Gatton (curiosando sui blog però tutti parlano di enormi differenze sonore tra i primi modelli prodotti, quelli usati da mr Gatton, e i recenti) e non mi ha entusiasmato. Se avessi voluto suonare della musica rock, di stampo rollingstoniano, probabilmente sarebbero stati i migliori, ma per un sound retrò e rockabilly li ho trovati inadeguati
Pro: suono gigantesco, quasi un humbucker
Contro: prezzo elevato e poca versatilità

Per concludere il discorso alla perfezione vorrei provare dei Lollar, di cui tutti parlano benissimo! Intanto vi lascio con un connubbio perfetto ad opera di Jim Weider (telecaster del '55, bassman del '57 ed echoplex….goduria per le orecchie!)
Stay Twang!!!!


domenica 12 gennaio 2014

Un giorno con i Reverend Horton Heat



Lo scorso fine giugno ho avuto l'onore e il piacere di partecipare (come musicista e come membro dell'organizzazione) alla prima e unica data italiana dello storico trio texano, capitanato da Jim Heat: i Reverend Horton Heat.
Questo eccezionale combo, orgoglioso di provenire dallo stato della stella solitaria (stato a cui dobbiamo tantissimo per ciò che riguarda la musica….in tutti i generi!!) è attivo dal 1985, e ha, con il tempo, raffinato uno stile tutto suo, che fonde il tradizionale rockabilly col punk, col country, col rock granitico e di matrice sudista, senza scordare il surf e qualche capatina nella musica tex-mex. 
Devo ammetterlo, li adoro! Le loro canzoni sono sempre un pugno allo stomaco, mai scontate, sempre fresche e trascinanti; la voce di Jim Heat è pungente e i testi sono ironici e carichi di verità, esposte in maniera goliardica ma drammaticamente vera (la sua "Galaxy 500" affronta il tema del divorzio in maniera scanzonata, nonostante i disagi enormi del "post vita matrimoniale"); la ritmica (sorretta da Jimbo al contrabbasso e Scott Churilla alla batteria) è mostruosa! E poi la chitarra…che dire, il "reverendo" Jim Heat, pur non essendo un virtuoso o un innovatore, ha uno stile riconoscibilissimo e sempre azzeccato! Sconvolge quando usa frasi di estrazione "country" all'interno di un veloce e nervoso psychobilly, e quando gioca con gli armonici per costruire frasi complesse (modulandole col vibrato della sua Gretsch signature) lascia a bocca aperta. Pesta come un dannato il plettro sulle corde, mentre il resto del corpo (in una elegante mise da vecchio cantante country) sembra slegata dalle sue mani, mantenendo un decoro che ti aspetti da un attempato crooner, e il sorriso sulle sue labbra non accenna mai a svanire. 
Il loro show verte sulle loro composizioni originali o su alcuni "dovuti" tributi al rock and roll (durante lo show ad Atessa, al Custom Party, hanno eseguito un tributo all'87enne Chuck Berry e una dissacrante versione di quella che è considerata la prima canzone rock and roll della storia, ossia "Rock this joint", dal repertorio di Bill Haley and the Comets…dove, e non posso mascherare l'emozione, mi hanno invitato sul palco per duettare….vi giuro che quasi quasi mi tremavano le ginocchia).
Avendo io stesso fatto da tramite tra gli organizzatori e il managment americano, è toccato a me accoglierli al loro arrivo, occuparmi della strumentazione e, sopratutto, stare a contatto con loro!!! Grande emozione ma anche grande responsabilità (il rider tecnico era gigantesco! Le esigenze onstage, a detta dell'agenzia, enormi….e le richieste "mangerecce" irrealizzabili!). Però, appena arrivati in hotel e assaporato la cucina abruzzese, rider e richieste assurde sono miracolosamente evaporate, il clima si è disteso in maniera spiazzante, e sono diventati, tutti e 5 (band più road manager e fonico), i migliori amici di sempre!!!

La richiesta per gli ampli onstage era praticamente irrisolvibile (due ampli Gretsch, quelli nuovi per intenderci, ridisegnati dalla Victoria Amp…onestamente non ne ho mai visto uno in giro….quindi non avrei saputo dove reperirli) però sul palco c'erano un sacco di valide alternative, oltre al mio Bassman c'erano gli stack Fender di Nick Nitro (dei 59ers) e di Simone di Maggio (Astrophonix)…eppure Jim Heat mi ha esplicitamente chiesto un "piccolo" fender…un Deluxe 65 possibilmente! Fortunatamente Marco Gioè (dei Marilù) aveva con se proprio quell'ampli!!! Mi sono chiesto come mai un chitarrista come il reverendo, abituato a suoni enormi, saturi e distorti, grossi come una betoniera carica di cemento, si potesse accontentare di 22 "miseri" watt, ma, una volta salito sul palco (e dopo aver "rollato" tutti i controlli, tranne il reverbero, al massimo) il SUO suono eccolo uscire da quel piccoletto che quasi mi faceva pena in mezzo a "pezzi grossi". Volume e "sostanza" non mancavano! Un enorme palco è stato riempito dal suo sound, tanto da non volere assolutamente la sua chitarra nei monitor a terra o negli in-hear-monitor. La sua pedal board ridotta all'essenziale (un booster, che forse non ha mai toccato, un delay Ibanez analogico, un accordatore e un pedale volume della Ernie Ball, col quale emulava il suono di una pedal steel guitar) e la sua chitarra (trasportata dentro un gigantesco flight case) la sua storica Gretsch 6120DSW con gli humbucker filtertron della TVJones (sul catalogo Gretsch questo strumento esce a suo nome…e non è da tutti avere uno strumento Gretsch signature!). Corde 0,10-0,46 nuove (Ernie Ball se non erro) e plettri personalizzati abbastanza duri. Poca roba, perfettamente funzionante e suono preciso e incisivo! Senza fronzoli o orpelli che avrebbero snaturato il suo sound.
Passare del tempo con Jim Heat è stato splendido! Ho sfoderato la mia migliore faccia di bronzo e gli ho scodellato una miriade di domande sulle sue esperienze, sulla sua formazione musicale, sui suoi progetti passati e futuri…e lui, avendoci preso gusto, ha iniziato a parlare a ruota libera elogiando l'Italia che stava scoprendo e gli italiani che stava conoscendo. Riporto, di seguito, degli estratti dalla nostra piacevolissima conversazione.

Diego: Jim cosa ci dici del prossimo disco dei Reverend Horton Heat (disco la cui uscita è programmata per Gennaio del prossimo anno), durante il sound check hai suonato due pezzi nuovi, suonano come i vecchi dischi dei RHH vero (yeah!!!!)?

Jim: il precedente disco era di orientamento country, mi era sembrata una mossa "normale" per un artista rockabilly, in genere tutti gli artisti di questo genere lo suonavano solo ed esclusivamente quando erano dei "ragazzetti", ma il loro obiettivo era entrare nelle charts della country music; ma il nostro pubblico ama il "Reverend Horton Heat" sound, quindi il prossimo disco sarà quasi un ritorno alle origini.

Diego: il tuo rapporto con l'Italia è stato sempre "bizzarro", diversi concerti cancellati negli anni…eppure qui hai un sacco di seguaci, perchè?

Jim: abbiamo sempre avuto difficoltà con l'Italia! L'ultimo concerto cancellato (dicembre del 2011) in realtà era una completa bufala! Noi non ne sapevamo NIENTE! Ed eravamo stupiti dall'enormità di richieste di informazioni riguardanti quello show!!! Colpa di alcuni promoter….non ti nego che siamo stati quasi sul punto di rifiutare altre proposte per venire a suonare in Italia! Meno male che tutto, adesso, è finito per il meglio! (la band, il giorno dopo il loro arrivo, ha pubblicato un messaggio ufficiale sulle loro pagine sui social network dove elogiavano l'accoglienza e il cibo! E, il giorno dopo il concerto, scrivevano parole entusiaste su pubblico e tutto il resto! Belle soddisfazioni!!! nda)

Diego: sono forse uno dei pochi che possiede una copia del tuo disco "The Reverend Organdrum" (trio dove il Reverendo Jim Heat suona la chitarra insieme ad un hammondista e un batterista, senza basso, solo strumentali di stampo sixties jazz), cosa mi dici di quel progetto?

Jim: eheheh….siamo tutti e tre vicini di casa! Un'idea nata quasi per gioco, per passare, suonando, i tempi off tour…ci riunivamo nei bar della zona con il solo obiettivo di passare qualche piacevole ora insieme. Il disco condensa quel repertorio e il mood di quel progetto! Tim Alexander (hammondista in questo progetto ma anche membro degli Asleep At The Wheel) ha suonato in parecchi dischi dei RHH, sopratutto su "Revival", ed è un grande amico ed un eccezionale artista!

Diego: come mai sei passato dall'usare grossi ampli (come un Super Reverb silver face) a quelli più piccoli e meno potenti (Gretsch e Fender Deluxe appunto)?

Jim: mi piace il suono che ne esce quando li spremi all'inverosimile. Ne adoro l'overdrive naturale e, una volta fatto l'orecchio a questo suono, non ne so fare a meno!

Diego: sei uno degli artisti più attivi dal vivo, come sopporti la vita on the road (i RHH sono stati capaci di tour di quasi 300 date all'anno in lungo e in largo per il mondo)?

Jim: adesso siamo molto più "calmi" limitandoci a fare lunghi tour inframmezzati da periodi di riposo a casa medio-lunghi. Prima stavamo veramente tutto l'anno sul nostro tour bus, costantemente in giro, facendo follie assurde! Però non rimpiango niente! Una volta andammo fino a New York, partendo dal Texas (e sono più di 2000 km, nda), solo per fare una data, ma, dopo quella, ci si aprì letteralmente uno spicchio di America dove non riuscivamo a mettere piede nella maniera corretta! Il nostro lavoro è anche questo…ancora oggi raramente viaggiamo in aereo usando la strumentazione dell'organizzazione; preferiamo nettamente stare in tour con tutto il nostro backline, che ci permette di avere sempre il nostro suono, che scommettere ogni sera su come potrà andare (qui in Italia ci è andata benissimo!!!)

Diego: cosa ne pensi dell'Italia?

Jim: penso che dovrebbe tornare ad avere la sua moneta (!!!!!) data l'enormità di risorse che possiede potrebbe gestirle meglio con un suo sistema finanziario indipendente….io penso che tutti gli stati debbano essere indipendenti dagli altri (vale anche per il Texas!!!) e avere il proprio conio.

Sono tante le cose che mi ha detto il "Reverendo", molte non le ricordo, altre le tengo per me (si tratta di temi familiari e di gestione dei rapporti sociali che forse non è il caso di spiattellare in un articolo); sottolineo che non si tratta di una vera e propria intervista ma di un riassunto di alcune ore passate insieme a lui, ore senza prezzo che mi hanno riempito l'anima di gioia e soddisfatto una di quelle "voci della lista delle cose da fare prima di morire"!
Spero che il suo spirito e la sua carica riescano ad emergere dalle mie parole!
Stay Rock!
Stay Roll!
Viva il Reverendo!!!
Don Diego